Una delle settimane più democratiche e condivise che Milano vive da protagonista è quella del Salone del Mobile. Il PAC ospita un’esibizione sull’abitare e contemporaneamente un cartellone di eventi e concerti che animano le settimane della mostra. Curata da Gabi Scardi, Less, Strategie alternative dell’abitare è dedicata alla casa, all’abitare, alle disgregazioni delle città contemporanee e alla esigenza di nuove geografie e mappe emotive. La casa, il quotidiano, l’esperienza del sé, prende, per scelta o per necessità, strade, strategie e pieghe sottili, talvolta difficili, fino a lambire situazioni estreme: nomadismo, fuga, dimore nei non luoghi, la precarietà degli slums dalle bizzarre architetture ridondanti e stratificate – in una parola, la condizione più diffusa del vivere oggi. La mostra ospita installazioni di Vito Acconci, Keren Amiran, Siah Armajani, Atelier Van Lieshout, Mircea Cantor, Jimmie Durham, Carlos Garacoia, N55, Lucy Orta, Maria Papadimitriou, Marjetica Potrc, Michael Rakowitz, Luca Vitone, Drè Wapenaar, Krystzof Wodiczko, Silvio Wolf, Wurmkos, Andrea Zittel.
Le opere sono dislocate sin dall’ingresso, come l’installazione dell’italiano Wolf: una babele di voci che si parlano addosso in tante lingue. Anche quando il museo è chiuso, di notte soprattutto di notte, sarà possibile limitare il muro di via Palestro e ascoltare l’opera in quanto l’artista l’ha pensata soprattutto per essere un catalizzatore di sogni notturni. L’opera di Wolf riassume che la prima casa, il primo sintomo di intimità è anche una strada.
Gli fa eco Krystzof Wodiczko che espone, nel grande spazio interno uno dei suoi Critical Vehicles: un prototipo (funzionante) di carrello da supermarket modificato per funzionare da casa viaggiante per homeless e nasconderli allo sguardo di tutti almeno nel momento del riposo.
Lucy Orta presenta un sistema abitativo orizzontale: una serie di body architecture: tende singole e giubbotti termici che fanno sistema e diventano piccolo villaggio per famiglie, dal titolo Refuge Wear, un progetto iniziato nel 1993 e ospitato anche alla Biennale di Havana (marzo/aprile 2006).
In tema di abitare, non potevano mancare due grandi artisti olandesi in mostra: Atelier Van Lieshout e Dré Wapenaar. I primi ritornano a Milano con due modelli di capsule abitative: una mini, identica ad una custodia di panino big mac, solo versione gigante; una deluxe, accessoriata con stereo e radio, comodo letto a due piazze, laccata in rosso fuoco come una Ferrari. Wapenaar – che progetta elementi in cui senso, forma e funzione sono inseparabili – presenta Treetent, una tensostruttura a forma di goccia che serve per vivere come sugli alberi, avvolti in un ambiente chiuso, commissionata all’artista da un gruppo di attivisti chiamati a difendere un bosco dalla desertificazione. L’abitare è prima di tutto una condizione interiore e la mostra, in realtà, presenta soprattutto una pletora di strumenti di comunicazione, “vere e proprie scommesse progettuali per l’abitare del futuro collettivo”, come afferma la curatrice.
E il lavoro di Keren Amiran, in mostra al piano superiore con il video Israel American Medical Centre mai visto prima in Italia, lo fa in maniera esemplare. L’opera documenta la storia surreale di edificio dismesso a Tel Aviv, ora abbattuto. Quando esisteva, lo si presumeva dimenticato: invece era abitato da due strani homeless: uno per scelta e uno solo per suonare. Il primo aveva approfittato di quella sacca autonoma e scarna di spazio per ambientarvi la sua vita e le sue povere cose, mentre il secondo, un violinista, lo usava solo per suonare, avendo una casa: si sentiva più a proprio agio nelle rovine che tra le sue pareti.
Luca Vitone presenta una mappa, distribuita fuori e dentro il museo. Wider City, questo il titolo, rappresenta Milano attraverso particolari relazioni, passaggi e spostamenti, densità che di solito i geografi attuali non tendono a rappresentare: no profit, unità di ricerca, orizzonti culturali, mediatori, comunità sul territorio.
Il catalogo, edito da 5 Continents, contiene saggi di Scardi, Carlos Basualdo, Jen Budney, Yorgos Tzirtzilakis accanto ad una ricchissima documentazione fotografica. Quest’ultimo, sintetizzando Heidegger, Kristeva e Bataille, Hardt e Negri, Deleuze e Guattarì, passa in rassegna: l’abietto, l’ordine simbolico delle cose, l’essere animale, per evidenziare – coerentemente all’attenzione per il nomadismo degli artisti in mostra – il crescente interesse delle società verso le forme a-sistematiche di configurazione: quelle fluide, informi, accidentali, attraversabili – in una parola gli effetti del modernismo: le meta-città. Parlare di architettura per Tzirtzilakis è tuttuno con il fare o ricercare politica, storia, attualità. Esattamente quello che Less fa parlando d’arte.
©CultFrame 04/2006
IMMAGINI
1 Keren Amiran. Israel American Medical Centre, 2001. C-print. Courtesy dell’artista
2 Silvio Wolf. Soglia delle parole, 2006. Installazione acustica e luminosa, vista notturna. Mura perimetrali PAC. Diffusione sonora da 8 sorgenti di 16 voci registrate, luci
3 ©Krystzof Wodiczko. Homeless Vehicle 1988-1989. Alluminio, filo di ferro, tessuto e altri materiali. Courtesy Galerie Lelong, NY
INFORMAZIONI
Dal 5 aprile al 18 giugno 2006
PAC Padiglione d’arte contemporanea / Via Palestro 14, Milano / Telefono: 0276009085
Orario: martedì, mercoledì e venerdì 9.30 – 17.30 / giovedì 9.30 – 21.00 / sabato e domenica 9.30 – 19.00 / Ingresso libero
Cura: Gabi Scardi
LINK
PAC – Padiglione d’Arte Contemporanea, Milano
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